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Ella avanzò per prima, docilmente.
Quando giunsero all'incrocio, Mario imboccò una strada diversa da quella per
cui erano venuti.
«Voglio mostrarle qualcosa di eccezionale.»
Arrivarono rapidamente sulle rive di un vasto khlong, ma non si trattava invece
di un ruscello naturale? Sembrava serpeggiare, e le rive erano coperte d'erbe.
«Siamo ancora a Bangkok?»
«In piena città, ma questo non è un luogo frequentato da stranieri.» Ora cammi-
navano in una radura; i tacchi di Emmanuelle affondavano nel terreno friabile ed ella
si tolse le scarpe.
«Si strapperà le calze,» disse Mario. «Non è meglio togliere anche quelle?» Fu
sensibile a quest'attenzione.
Si sedette su un tronco d'albero lì accanto, si alzò la gonna.
L'aria fresca le ricordò che il suo slip si trovava ancora nella tasca di Mario.
Il chiarore della luna era così intenso da rendere perfettamente visibile il suo
ventre, mentre slacciava il reggicalze.
«La bellezza delle sue gambe non mi stanca mai,» disse Mario; «delle sue cosce
lunghe, flessuose...»
«Credevo si stancasse presto di tutto.»
Mario si limitò a sorridere.
La ragazza non aveva più voglia di muoversi.
«Perché non si toglie anche la gonna?» suggerì Mario. «Potrà camminare più
comoda. E sarebbe bello poterla vedere così.»
Non esitò un solo istante.
Si alzò e si slacciò la cintura.
«Che ne faccio?» chiese poi, tendendo la gonna a Mario.
«La lasci sull'albero, la prenderemo al ritorno. Dovremo ripassare di qui in ogni
modo.»
«E se qualcuno la rubasse?»
«Che importerebbe? Non avrà obiezioni, spero, a ritornare a casa senza gonna?»
Emmanuelle non rispose: non era necessario.
Ripresero a camminare.
Sotto il pullover di seta nera, le sue natiche e le sue gambe sembravano, nono-
stante l'abbronzatura, stranamente chiare nella notte.
Mario le camminava al fianco e la prese per mano.
«Eccoci,» disse dopo qualche istante.
Di fronte a loro c'era un muro basso, semidiroccato.
Mario aiutò la compagna ad arrampicarvisi e saltare dall'altro lato.
Quando ella rialzò la testa trasalì: una forma umana era accovacciata lì accanto.
La mano di Emmanuelle strinse forte quella di Mario.
«Non abbia paura, è gente pacifica.»
Volle dire: ma il mio vestito! ma ancora una volta il timore dei sarcasmi di Ma-
rio la trattenne.
Si vergognava però talmente da sentirsi incapace di fare un solo passo.
Sarebbe stata meno a disagio nuda del tutto.
Mario la trascinava inesorabilmente; passarono vicino all'uomo, che li guardò
con occhi di fuoco.
Emmanuelle non riuscì a trattenere un brivido.
«Guardi,» disse Mario, tendendo il dito, «ha mai visto nulla di simile?» Ella se-
guì con lo sguardo la direzione del gesto.
Da un albero dal tronco enorme, venato da radici innumerevoli e da liane selva-
tiche, pendevano strani frutti.
Guardando meglio, Emmanuelle vide che si trattava di falli.
La sua esclamazione non era priva d'ammirazione.
Mario spiegò: «Alcuni sono exvoto; altri, invece, offerte per la potenza sessuale
o la fecondità. La loro grossezza è proporzionale alla ricchezza del fedele, od all'ur-
genza della sua preghiera. Siamo, ci tengo a dirglielo, in un tempio.»
Questo ricordò ad Emmanuelle l'indecenza della sua tenuta.
«Se un prete mi vedesse in questo stato...»
«Non mi sembra affatto fuori posto, in un santuario dedicato a Priapo.» disse
Mario ridendo. «Tutto ciò che si collega al suo culto è in questo luogo lecito, anzi
raccomandabile.»
«Sono i cosiddetti lingam?» chiese Emmanuelle, più curiosa che non confusa.
«Non esattamente. Il lingam è indù, ed il suo disegno generalmente è stilizzato:
lo si trova soprattutto in forma di pilastro, fissato a terra verticalmente, e il più delle
volte ci vogliono gli occhi della fede per identificarlo. Qui, come può vedere, la fat-
tura dell'oggetto non lascia niente all'immaginazione. Sono copie dal vero piuttosto
che opere d'arte. Le reliquie della Città degli Angeli. Questo è il vero nome di Ban-
gkok. O meglio, il nome abbreviato. Per essere protocollari bisognerebbe chiamare la
città: Krungthep Phra-Maha-Nakhorn Amorn Ratanokosindr Mahinthara Boromara-
djathani... Boromnivet... Maha Sathan Burirom, là.
«Il che si può considerare a sua volta un riassunto, poiché significa: Venerabile
Città degli Angeli (o degli Dei, per essere etimologici ed esporsi a una polemica me-
tafisica), Tesoro dei gioielli d'Indra, Grandezza del dio Indra, Suprema megalopoli
reale, Augusto sito, Sovrani paraggi, Alto luogo, Città di gioia.
«Più o meno. Il là finale che interrompe sbarazzino questa sequenza vuol dire
semplicemente eccetera perché lo stato civile autentico dell'urbe occupa, in effetti, tre
o quattro pagine. Almeno così dicono.»
I falli sospesi ai rami andavano dal volume di una banana a quello di un bazoo-
ka, ma il realismo dei particolari era simile in tutti.
Erano tutti in legno scolpito e decorato.
L'orifizio era ornato da una macchia rosea, il prepuzio rappresentato con pieghe
profonde sulla base del glande.
La curvatura del membro in erezione era resa con sorprendente verismo.
Ne pendevano da ogni albero, a centinaia.
A terra, attraverso questo frutteto di verghe, v'erano candelieri di legno con
grandi ceri, per lo più spenti; bastoncini d'incenso identici a quelli che si accendono
davanti all'immagine del Budda o sull'altare degli avi, ed il cui odore stordente non
dà pace, bruciavano invece qua e là.
L'estremità che si consumava punteggiava la notte di bagliori rossi.
Emmanuelle si rese conto con angoscia che molti di quei lumicini si muoveva-
no, e non le occorse molto tempo, tanto la notte era chiara, per distinguere le mani
che li reggevano.
Non uno, ma quattro, cinque, sei, dieci uomini almeno, erano lì intorno.
Seduti sui talloni, come il primo che avevano incontrato.
Uno di loro si alzò in piedi; lo vide avvicinarsi.
A qualche passo di distanza, si accovacciò di nuovo.
Il suo sguardo esprimeva un interesse tranquillo ed intenso.
Quasi subito due, poi altri quattro lo raggiunsero, sedendosi vicino a lui.
Uno dei nuovi venuti sembrava giovanissimo, quasi un bambino; gli altri erano
più anziani; uno, infine, quasi un vecchio.
Nessuno parlava.
Tutti continuavano a tenere tra le dita giunte le bacchette odorifere.
«Una simpatica platea, non è vero?» scherzò Mario. «Che cosa possiamo recita-
re?» Staccò da un ramo un fallo di proporzioni relativamente modeste. «Non so se
commetto un sacrilegio,» disse, «ma, se è così, lo commetto spavaldamente. In ogni
caso, non mi pare che i nostri spettatori ne siano contrariati.»
Tese il pezzo di legno ad Emmanuelle: «Non è piacevole al tatto?» Ella lo pal-
pò.
«Mostri loro in che modo si servirebbe delle sue mani con questo simulacro, per
fargli onore, se fosse vivo.» Emmanuelle eseguì senza protestare ed anzi con un certo
sollievo, perché per un momento aveva avuto paura che Mario le chiedesse di intro-
durlo nel suo corpo.
Il pensiero della sua rugosità e della sua sporcizia la disgustava.
Le sue dita accarezzarono l'articolo di pietà come se sperassero davvero di farlo
godere. [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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